aprile 28, 2023

Per Salone OFF, l’autore presenta “La faglia” alle officine CAOS – Casa di Quartiere Vallette

Nell’ambito di Salone OFF – e all’interno del progetto Leggermente – Massimo Miro presenta La faglia (Scritturapura, 2022) alle officine CAOS – Casa di Quartiere Vallette, incontrando il Gruppo di lettura Vallette.

Evento in collaborazione con Libreria Gulliver e casa editrice Scritturapura

https://bct.comune.torino.it/eventi-attivita/incontri-con-gli-autori/leggermente-incontra-massimo-miro?fbclid=IwAR0ZXWuPiJvnOYlv2xPdoNAHAs-aXwJpqsa3oyYSn8X8u0sVfRGSq4YOxPE

«Torino, maggio 1978. Il grigio non è solo il colore dei muri di periferia. Cinque ragazzi, cresciuti tra piccoli furti e scontri tra bande sulle strade che dividono i casermoni di cemento del loro quartiere, decidono di passare alla Storia: porteranno via Aldo Moro dal covo in cui le Brigate Rosse lo tengono prigioniero.
Torino, luglio 2006. Gomez ne ha fatta di strada: è ingegnere, ha una moglie, una figlia e una villetta in Brianza. Eppure la sera della finale dei Mondiali, quando l’Italia sta per scendere in campo contro la Francia, anziché seduto sul divano davanti alla tv con una birra in mano, è di nuovo in Borgo Stura. 
Una storia dal ritmo serratissimo, una parabola vorticosa di giovani vite incompiute, in lotta disperata per la salvezza» (dal sito dell’Editore). 

Massimo Miro è nato a Milano nel 1967. Vive e lavora a Torino. Musicista e compositore, collabora con diverse case editrici. Una sua raccolta di racconti è uscita nel 2001 con il titolo di Sbàuz (Prospektiva Editrice). Con il romanzo Hanno sparato a John Lennon è stato finalista del Premio Italo Calvino nel 2001 e si è aggiudicato il riconoscimento francese assegnato dall’Universitè de Savoie di Chambery. Un suo racconto, Questa non è una canzone d’amore, è stato inserito in una raccolta di racconti edita da Miraggi Edizioni, dal titolo L’amore non c’entra nel 2015. Nel 2021 pubblica il romanzo Suite berlinese, Scritturapura.

aprile 28, 2023

Il Kyr Royal di Borgo Stura

Sentite questa storia,

Di questo storico cocktail della Borgogna, i grandiosi di Borgo Stura ne sentirono parlare da uno zio della Basilicata che faceva il camionista e che lo aveva assaggiato in Francia. Da allora era diventato il loro sogno mai realizzato, la loro chimera. Mai in vita loro avevano visto, e avrebbero più visto, una bottiglia di champagne, figurarsi con lo sciroppo di cassis.

Un giorno a Gomez ormai trentenne, durante un viaggio d’affari a Parigi, venne offerto un flute su un vassoio d’argento. – Kir royal monsieur? –

Gomez trasalì. Prese il calice, lo portò alle labbra, e chiuse gli occhi. Senti il profumo dolce del cassis, l’ebbrezza delle bollicine dello champagne sotto al naso. Ecco quale era quella sensazione che aveva sempre e solo immaginato.

Buttò giù tutto di un sorso, come i grandiosi facevano con la Peroni o con un bicchiere di Cuba libre in discoteca.

Si sentí un gran signore, uno di quegli uomini rispettabili, tanto diversi da quei piccoli scarti della società che si sentivano di essere in quelle grigie e monotone periferie della città.

Pensò che in fondo la sua missione, d’ora in poi sarebbe stata quella di vivere ogni istante anche per chi non c’era più.

I grandiosi di Borgo Stura che sorseggiano un cazzo di Kir Royal nella hall di un albergo a cinque stelle di Parigi.

Roba da non credere.

Che follia è a volte la vita.

aprile 28, 2023

Massimo Miro incontra gli studenti, si parla del sequestro di Aldo Moro nel romanzo La faglia

Il sequestro di Aldo Moro nel romanzo La faglia. Massimo Miro ha incontrato gli studenti presso il Municipio di Rivarolo Canavese.

Dopo l’incontro con Arturo Mariani, fondatore della Roma Calcio Amputati, con gli studenti dell’Istituto comprensivo “Guido Gozzano”, il 5 aprile due classi seconde dell’IIS “Aldo Moro” hanno incontrato in Sala consiliare lo scrittore Massimo Miro, autore de La faglia. Il romanzo degli ultimi figli della classe operaia, edito da Scritturapura.

Spaccatura generazionale

Richiamandosi al titolo del romanzo, nella prefazione il regista Davide Ferrario ricorda che “Le BR furono il simbolo della prima, definitiva separazione tra padri e figli che cominciò negli anni Settanta e che si ripete ciclicamente a ogni generazione. Fu allora che i figli degli operai smisero di capire il senso della vita dei loro genitori e cominciarono a cercarne un altro, senza avere però nessuna bussola per trovarlo”.

I temi affrontati

Massimo Miro ha condiviso con gli studenti anche alcuni aspetti del processo creativo e del percorso che affronta un autore dalla scrittura fino alla pubblicazione. Considerando che gli anni Settanta vengono soltanto accennati nei programmi scolastici, Eva Capirossi, della casa editrice Scritturapura, fondata ad Asti nel 2011, ha sottolineato il ruolo che le narrazioni possono svolgere per accostarci ai sentimenti delle generazioni precedenti, arricchendo dal punto di vista emotivo l’analisi di un periodo storico.

A nome dell’Amministrazione comunale, l’Assessore allo Sport Helen Ghirmu ha evidenziato la scelta di ospitare le presentazioni in Sala consiliare, spazio per eccellenza dedicato al confronto politico, e invitando gli studenti a partecipare alle occasioni d’incontro per stimolare pratiche di cittadinanza attiva e impegnata.

Dal confronto tra gli studenti e Massimo Miro è emersa l’attenzione verso un periodo storico poco noto, magari incrociato per caso nei servizi televisivi in occasione degli anniversari, ma anche la curiosità per le dinamiche creative da cui trae origine un romanzo.

“Nelle presentazioni dedicate alle scuole trovano spazio opere di case editrici locali” segnala l’Assessore alla Cultura Costanza Conta Canova testimoniando “l’impegno della Biblioteca comunale “Domenico Besso Marcheis” per avvicinare il pubblico a titoli che, oltre i canali pubblicitari consueti, racchiudono elementi di interesse per i lettori ed esprimono un profondo legame con il territorio”.

Prossimo appuntamento

Il ciclo di incontri con gli studenti proseguirà mercoledì 12 aprile con il romanzo fantasy Lo scorpione di smeraldo di Veronica Pepoli e mercoledì 19 aprile, quando Giorgio Bona proporrà Da qui all’Eternit, romanzo ambientato a Casale Monferrato che ripercorre la parabola della lavorazione dell’amianto fino alla messa al bando per le ripercussioni sulla salute e alle speranze di rinascita con la bonifica del territorio.

aprile 28, 2023

Dal blog Libroguerriero, di Paola Rambaldi

“La faglia” di Massimo Miro (Scritturapura)                                    

Pubblicato il 11 aprile 2023 da Libroguerriero

Da sempre si sentono  ingabbiati in un posto dove non succede mai niente e, anche se si divertono e le ragazze non mancano, rifiutano di fare la fine dei  genitori operai e sognano una vita  facile ed elettrizzante. Soprattutto Gomez, Goffredo Mezzasalma, un violento  deciso a emergere a tutti i costi  che però  è abbastanza intelligente da non mollare gli studi di ingegneria.

In quei giorni in città ci sono posti di blocco dappertutto per via del  processo ai capi delle Brigate Rosse, ma una  domenica di giugno  cambierà per sempre i loro destini.

Quando si trovano al bar,  Jumbo, dice di sapere dov’è nascosto Aldo Moro.  L’ha visto imbottito di medicine a casa di una ragazza.  Tutta  la polizia d’Italia lo cerca e lui sa dov’è.

Possono prenderlo loro e decidere se consegnarlo alla polizia o chiedere un riscatto…

Torino, luglio 2006 – è la sera della finale dei mondiali Italia-Francia. Sono passati ventotto anniC’è una chiamata dall’ospedale di Torino per l’ingegner Mezzasalma. Goffredo da anni ha rimosso la sua infanzia a Borgo Stura, ma non ha mai scordato il pomeriggio in cui potevano salvare Aldo Moro. In quegli anni è successo di tutto. Anche se chi c’era non si rendeva conto di cosa stava succedendo.

Goffredo adesso a un macchinone da 60.000 €. è l’unico che ha ultimato gli studi di ingegneria, ha una moglie ricca, una bella figlia e una villa in Brianza. I  suoi amici sono morti sparati,  accoltellati, drogati, infettati, investiti o incidentati e ha assistito ai loro funerali. Sono morti anche  i suoi genitori,  felici di vederlo ben sposato e sistemato in  un posto di responsabilità presso un’importante azienda di Milano. Anche se Goffredo riveste  un ruolo di facciata sia nel matrimonio che nell’azienda del suocero.  

E ora torna a Torino per una cosa importante. Jumbo che 28 anni prima era entrato in coma, dopo che gli avevano spaccato  la testa con una spranga, si è svegliato e vuole parlare urgentemente con lui…

La faglia è la storia di un’innocenza perduta, di cinque ragazzi che non volevano fare la fine dei genitori e che credevano di avere ancora a disposizione tutto il tempo del mondo.

Un libro ben scritto, divertente con una bella storia.

Paola Rambaldi

aprile 19, 2023

La faglia al Salone del libro 2023

aprile 19, 2023

Il calcio a Borgo Stura

Nel 1978 a Borgo Stura c’erano ben quattro squadre di calcio. L’A.S. Borgo Stura era la squadra più organizzata, poteva contare su tutte le categorie, dai pulcini all’eccellenza. Nel campionato 1975/76, l’A.S. Borgo Stura vinse il campionato Esordienti e si piazzò seconda in eccellenza, battuti in finale da un fortissimo Ardor. Jumbo e Novi furono espulsi per quattro giornate fino al termine del campionato per una rissa con Falchera.

Il Real Borgo Stura fallì nel 1977 per debiti non pagati con il Comune, mentre la gloriosa Dinamo BS fu radiata dal campionato per via di un carico di droga rinvenuto nel furgone durante una trasferta a Nichelino.

Il Lokomotiv BS doveva il suo nome al presidente Dimitri Pozzoriello, che rilevò la Sturese cambiandone il nome in onore delle squadre dell’est Europa. Potendo contare solo su pochi iscritti, non poté iscriversi mai a nessun campionato, e giocó solamente partite amichevoli, più che altro contro squadre della cintura nord.

Da segnalare il derby Real BS / Dinamo BS del 1974, finito otto contro sette con l’intervento dei carabinieri sugli spalti e negli spogliatoi per via di continue risse tra giocatori, allenatori e pubblico.

Al posto del campo da calcio in terra grigia, oggi vi è la grande rotonda che conduce al centro commerciale.

marzo 25, 2020

Quando un romanzo è per tutti. La gioia fa parecchio rumore – Sandro Bonvissuto

9602726_4419826Non ha un nome, il personaggio narrante di La gioa fa parecchio rumore, splendido romanzo sulle grandi passioni che scuotono l’albero dell’animo umano. Non ha un nome perché quel nome dovrebbe essere composto da tutti i nostri, uno in coda all’altro, allora quel nome sarebbe talmente lungo che occuperebbe tutto il romanzo, perché non fatevi ingannare dalle apparenze, il centro di questo romanzo non è calcio. Questo è un romanzo sull’amore e per l’amore, visto con gli occhi disarmanti dell’innocenza, con il pretesto di una incrollabile fede calcistica, Sandro Bonvissuto ci svela uno dopo l’altro meccanismi che fino a poco prima ci sembravano complicatissimi. Riesce a farlo come serve, a volte con il disincanto, a volte con il linguaggio di quella romanità popolare monicelliana, diretta e irresistibile. “ I romani sanno essere terribili, i romanisti ancora di più”. Una città che è capace di portarti continuamente dal paradiso all’inferno, nel cantico delle tribune dal quale partono dichiarazioni di devozione assoluta e gesti di irriverenza dissacrante, basta un passaggio sbagliato perché si commenti “quello ci’ha a visione de gioco de ‘na staccionata!” e poi l’azione successiva, per un dribbling riuscito “aò, te l’avevo detto che è ‘n fenomeno

Non hanno un nome nemmeno gli altri protagonisti, sono solo padri, zii, madri, vicini di casa, figure che ci sembrano subito familiari, con la loro filosofia semplice e immediata, sono entità onniscienti, anime di una vivace epica borgatara dei primi anni ottanta, ricostruita con fedeltà assoluta. Non è mai chiamato per nome, nemmeno il protagonista per antonomasia, quello in copertina, il “forte centrocampista” venuto dal Brasile per prendere in mano le redini del destino, non solo di una squadra di calcio, ma di un popolo intero, quello pervaso dall’amore incondizionato per una maglia, fiero nella sconfitta e quasi più a suo agio “nella parte destra delle classifica” che non nei panni del vincitore. Quello straniero accolto all’aeroporto da una moltitudine già in festa, arrivato dalla città con ogni mezzo, tra canti, bandiere e panini con la frittata. Quello straniero che scese dall’aereo con così tanta sicurezza, “che pareva lui er pilota”.

E’ quella, la gioia che fa parecchio rumore. Prima ancora di quella per la vittoria tanto attesa, quella che verrà, la gioia di quel popolo chiassoso e colorito è quella più autentica e universale: quella per l’orizzonte della riscossa. E’ una gioia che non ha colori, maglie e stemmi. E nemmeno nomi.

Qualunque fervente passione infuochi la vostra anima, questo libro è per voi.

 

La gioia fa parecchio rumore” – Sandro Bonvissuto

Edizioni Einaudi 2020.

https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/la-gioia-fa-parecchio-rumore-sandro-bonvissuto-9788806217723/

marzo 27, 2019

“Quella metà di noi”. Oltre il gioco del doppio. Una sera con Paola Cereda, 26/3/2019

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Matilde Mezzalama è una maestra in pensione che decide, invece di godersi la sua tranquilla vecchiaia nel quartiere periferico di Barriera di Milano, a Torino, di rimettersi in gioco e accettare di accudire un anziano ingegnere che abita nel centro della città.

E’ questo l’elevator pitch 1 de “Quella metà di noi, l’ultimo romanzo di Paola Cereda, titolo che stramerita di comparire tra i 12 finalisti dell’ambitissimo Premio Strega 2019.

Il tema del corpo involucro, della sua cura ai fini della sopravvivenza, è un argomento di grande attualità. Il rapporto tra Matilde e l’ingegnere, è il prisma narrativo principale di questo romanzo, e se scelta è stata, l’autrice non poteva fare scelta più efficace. Nel rapporto stesso tra “badante” e “badato”, in quel compromesso emotivo si può già individuare l’elemento della metà per antonomasia, replicata in diverse accezioni: Il prima e il dopo l’infermità, l’accudire la casa del malato per poter accudire una casa dall’altra parte del mondo, in una sorta di remotizzazione e sdoppiamento del prendersi cura.

IL GIOCO DELLE META’. In questo romanzo ogni personaggio si confronta con una sua metà ad assetto variabile, più o meno inconsapevole. E’ questo l’aspetto che sorprende e appassiona il lettore, perché il grande merito di Paola Cereda è quello di avere creato personaggi universali, nei quali chiunque può riconoscere chiunque. Altro pregio raro di questo romanzo è l’essere andato ben al di là dell’esperienza del visconte dimezzato o dell’uomo duplicato, o di tutte le altre esperienze narrative precedenti che hanno esplorato la suggestione del doppio.

Ma allora, cosa spinge realmente Matilde ad imbattersi nelle fatiche di un nuovo mestiere che non le appartiene?

E’ quindi la verità, la palla di cannone che spezza in due quasi tutti i personaggi di questo romanzo? O è un segreto ben custodito? Un segreto come quelli che abbiamo tutti, e che determinano altre vite rispetto a quelle che abbiamo. Le parole mai dette sono come figli mai nati.

Un ruolo di primo piano nella ricerca di quella metà spetta ai LUOGHI. Il passaggio dalle ambientazioni in provincia (nei lavori precedenti di Paola) a quella in città tiene molto bene grazie ad un evidente vissuto, alla capacità di adattamento del linguaggio e dei ritmi narrativi. Rispetto ai lavori precedenti Paola Cereda, con grande sensibilità, smonta grandangolo e filtro colorato dal suo obbiettivo. Anche i tempi di esposizione cambiano. Quello che leggiamo è la conseguenza di uno sguardo più lento, dentro allo scorrere quotidiano, con una messa a fuoco più nitida, senza rinunciare all’ironia dal sapore spesso malinconico, nella descrizione di una Barriera di Milano per quella che è oggi, pulsante e multietnica. Nella toponomastica e nella trasformazione degli esercizi commerciali.

Alcune pagine particolarmente suggestive sono quelle ambientate al Banco dei Pegni, ricalcando, ma andando già oltre, in una sola manciata di pagine, il lavoro matrice di Elena Loewenthal nella sua “Giornata al Monte dei Pegni”. Quando entri al Monte dei Pegni devi essere disposto a lasciare qualcosa di te, e contemplare un riscatto. Separarsi da un oggetto personale che viene pesato, valutato, trasformato in valuta. Un luogo popolato da personaggi fuori dalle righe che l’autrice rende memorabili, tra leggenda e ironia.

Ma il ruolo di luogo protagonista spetta senz’altro al tram numero 4, linea tramviaria che collega la periferia nord di Torino a quella sud, passando per il centro. Un microcosmo viaggiante che può contenere vite a capienza praticamente infinita.

Abbiamo tante vite quante sono le persone che incrociamo, ogni volta la nostra vita  potrebbe cambiare. La scelta è nostra.

Stare sul tram numero 4 è in fondo come viaggiare per il mondo, attraversando una sola città, venire a contatto con l’umanità più assortita, contenitore di storie che precedono sempre l’immaginazione. Non quella di Paola.

Quella metà di noi – Paola Cereda – Giulio Perrone Editore

26/3/2019 Libreria Il Gatto che pesca – San Mauro Torinese (TO)

 

MM

aprile 20, 2018

La Madonna col cappotto di pelliccia. Tragedia d’amore o metafora dell’oppressione?

la-madonna-con-il-cappotto-di-pelliccia-904x670Sabahattin Ali, intellettuale comunista e giornalista. Negli anni venti e trenta, per i suoi articoli contro il regime di Ataturk finisce in carcere più volte. Forse è per questo che tantissimi ragazzi di Piazza Taksim e Gezi Park, durante le manifestazioni del 2013 contro il regime di Erdogan, hanno nello zaino una copia del suo romanzo “Madonna col cappotto di pelliccia”, pubblicato per la prima volta nel 1944, e resuscitato proprio nel 2013, riproposto da una piccola casa editrice turca, e nel 2015, per l’Italia, da Scritturapura. Il romanzo, che in Turchia ha venduto in questa seconda vita più di un milione di copie, appare di per sé come una semplice, seppur travagliata storia d’amore. La Madonna col cappotto di pelliccia non è un romanzo politico, ma ostentare una copia di un libro di Ali, ad Istanbul, oggi, è un gesto di opposizione silenziosa molto coraggioso. Sabahattin Ali infatti, muore in circostanze misteriose, nel 1948, al confine con la Bulgaria, probabilmente ucciso dal suo passeur, o indirettamente dal regime (o quel che ne rimaneva) che aveva sempre combattuto con i suoi articoli su varie riviste, tra cui sopratutto Marco Pasha.

La scrittura di Ali appartiene ad una certa Europa. Quella di Kafka e Pessoa, con i loro personaggi che fanno mestieri poco affascinanti, sono metodici e produttivi. Per l’attenzione al particolare, fino quasi alla paranoia, tanto che lo stile che ne viene fuori è quasi monocolore, la narrazione monocorde e ipnotica. Sembra di partecipare senza mediazioni ai pensieri del personaggio narrante, in diretta. Per quanto riguarda la trama, il romanzo incarna i canoni più classici del romanzo romantico tragico, persino all’eccesso.

Berlino, 1922. Raif passa ore intere dentro una galleria d’arte, ad ammirare un dipinto con una donna bellissima: la Madonna con la pelliccia. Raif si innamora perdutamente di quella donna, che poi esiste, si chiama Maria, ed è di origini ebraiche. I due iniziano una relazione complessa. Lei è forte, determinata, lui è sensibile, troppo sensibile. E’ l’anticipazione del disequilibrio. La donna determinata, spregiudicata, l’uomo impaurito e passivo. Se pensiamo a quando è stato scritto questo testo (1940-41), riusciamo ad ammirare il gioco di specchi che Ali ha costruito, con sapienza, e soprattutto grande intuizione.

La Madonna col cappotto di pelliccia è quindi solo una tragica storia d’amore? Non saprei dirlo. Forse si. Oppure no.

La società turca è troppo complessa perché noi europei la si possa decifrare, ogni tentativo di andare oltre la storia è davvero un grande azzardo, ma io non riesco ad immaginare un personaggio come Sabahattin Ali, perseguitato politico, che scrive una semplice storia d’amore tra un uomo e una donna.

Perché un intellettuale, dissidente, che ha vissuto sulla propria pelle la violenza di un regime, dovrebbe scrivere una storia d’amore ambientata a Berlino, tra il 1923 (tentativo di colpo di stato di Hitler) e il 1933 (inizio della persecuzione degli ebrei con la notte dei lunghi coltelli), senza mai inserire un minimo riferimento, anche solo una riflessione, una frase sulla violenza delle dittature? Come se nel romanzo avesse voluto lasciare un grande protagonista sottointeso. Cosa impedisce a Maria e Raif di vivere felicemente il loro amore? Qualcosa di superiore al quale bisogna assoggettarsi, e ne determina l’odiosa ingiustizia. Il destino dei personaggi è schiacciato da questa forza superiore, ed è accettato con passività. Ecco come rappresentare la violenza di un regime totalitario. Come un qualcosa che irrompe nella vita di tutti i giorni, e ne soffoca il diritto alla vita.

Un libro che consiglio vivamente.

La Madonna col cappotto di pelliccia. Sabahattin Ali

Pubblicato in Italia da Scritturapura, 2015

sabba

Sabahattin Ali. Berlino, Tiergarten

settembre 13, 2017

Polesine. La nostra Amazzonia in cortile

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Non lo so nemmeno io, perché ultimamente mi sono appassionato così tanto alle terre del Delta del Po.

Io che sono sardo e per noi sardi acqua e terra sono due componenti ben definiti da adorare e temere in misure ben certe e contrapposte. Ma io sono sempre stato attratto da tutto ciò che è sospeso nel tempo, a tutto ciò che oppone resistenza al cambiamento. A tutto ciò che è immobile, ed è. Esiste. A dispetto della modernità, delle cose che cambiano. Una silenziosa opposizione alla truffa.

Viviamo in città sempre più caotiche, frammentate da nuove geografie funzionali che le isolano dall’esterno. I centri sono entità a parte, hanno una loro identità specifica, mentre le periferie sono tutte uguali. Queste nuove geografie funzionali (per non chiamarle cicatrici) sono descrivibili solo per la funzione che svolgono, che quasi mai è quella di piacere, ma solo di trasportare, collegare, realizzare spine, passanti, tunnel metropolitani, oppure per ricucire ferite del passato, perpetrando però gli stessi errori, come ricalcare vecchi tracciati ferroviari, il tutto chiamato con nomi leggiadri ma fuorvianti, troppo belli per ciò che rappresentano. Sono proprio questi, quelli che l’antropologo francese Marc Augé chiama “non luoghi”.

Il Polesine è certamente (diventato) l’archetipo dei non-luoghi italiani; una vasta depressione tra due grandi corsi d’acqua, avvolta da una nebbia chimica quasi eterna, sotto al livello del mare. Un territorio dai confini variabili a piacimento della natura.

Il Polesine è un posto dove da sempre è difficile vivere. E famoso per le alluvioni, per essere sempre stata terra di emigrazione, come un Sud incastonato nel nostro profondo e industrializzato Nord. Un luogo deve avere tre caratteristiche essenziali: essere identitario – in grado quindi di individuare l’identità di chi lo abita – essere relazionale – stabilendo una reciprocità dei rapporti tra gli individui funzionale ad una comune appartenenza – essere storico – mantenendo la consapevolezza delle proprie radici in chi lo abita. Il Polesine non è niente di tutto ciò.

Due libri hanno soddisfatto la mia fame di immersione in quei luoghi attraverso le parole, in attesa di poterci andare di persona, spero presto: “Anime galleggianti”, (La nave di Teseo) di Vasco Brondi e Maurizio Zamboni. Vasco Brondi è autore e cantante de Le luci della centrale elettrica, a mio avviso il progetto più interessante della scena musicale dell’ultimo decennio, e “Confessioni audaci di un ballerino di liscio”, (Baldini&Castoldi) di Paola Cereda, una delle autrici più talentuose del nuovo panorama della letteratura italiana. Con entrambi ero già in contatto diretto, perché loro sono due dei miei artisti preferiti, con le loro opere sanno sempre come arrivare a me, cosa raccontare, con quali ritmi. Li avevo già seguiti nei loro viaggi di città, di periferia, di bassa padana, di Sud Italia e li avevo amati, sempre. Stavolta è come se si fossero messi d’accordo per portarmi in quella terra affascinante, senza nemmeno conoscersi tra di loro anche se vorrei che lo fosse, per raccontarmi cos’è la vita lì, di cosa è fatta.

Anime galleggianti è un viaggio a bordo di una zattera a motore, la discesa di un canale preso da una strada provinciale, come una porta di un universo parallelo. Da lì inizia un viaggio fino ad arrivare al mare, approdo finale. Ci vorranno due giorni di viaggio,” come andare in Australia o alle Hawaii”. E’ un viaggio tra Pescatori di frodo che appaiono all’improvviso tra le fronde, e alla vista di altri esseri umani ritraggono in fretta e furia i loro galleggianti. Stanno in postazioni ritagliate nella fitta vegetazione, attrezzate con ombrelloni e una sedia di plastica che sembrano troni aborigeni.

Ore di navigazione con gli aironi che ogni tanto condividono la strada dal cielo, la vegetazione fittissima ai lati, senza incontrare niente e nessuno, poi sfiorare il mondo civilizzato di una strada statale, vista da una prospettiva diversa, a pelo d’acqua, qualche ponte in ferro, che chissà l’ultima volta che qualcuno lo ha attraversato.

Luoghi ai margini del mondo in cui ascoltare le proprie solitudini e le proprie fantasticherie, in contemplazione dei silenzi d’acqua. Il Polesine, la nostra Amazzonia in cortile, popolata da anime sospese nel tempo, personaggi leggendari che sfidano l’inospitalità di quei luoghi fino a vincere il braccio di ferro tra resistere e desistere, stabilirsi in baracche, case, ville, roulotte, impiantare attività, impadronirsi di spazi altrimenti di nessuno, diventare alieni nel centro esatto dell’Europa, tra un Est e un Ovest mai così vicini, in nessun altro luogo.

Uno di questi luoghi, non troppo in lontananza, potrebbe essere Bottecchio sul Po, e quella casupola in mezzo al nulla il Sorriso Dancing Club, gestito da Frank Saponara, ballerino di liscio, fedele alla tradizione e impermeabile alle novità, ma anche uomo incapace di amare una donna fino alle estreme conseguenze di una vita condivisa.

Confessioni audaci di un ballerino di liscio è una storia di bilanci, di rimpianti non ammessi. “C’è da amarla questa baldracca della vita” perché ha le virtù di ogni donna che Frank ha amato. “Ci sono persone che attraversano la nostra esistenza con lo scopo di lasciare un segno”.

Alla festa dei cinquant’anni del Sorriso quelle persone ci sono tutte, una via di mezzo tra un amarcord e un giudizio universale. Scorrono come un fiume davanti ad un Frank immobile, nel suo tempo andato. Personaggi sopra le righe, eccessivi, eccentrici, o semplici fino al midollo. Una kermesse di umanità che credevamo scomparsa nel tempo, insieme alle balere con le luci stroboscopiche, i gin tonic, il ghiaccio secco, e i cravattoni.

Ma c’è qualcosa di profondo, che rende tanto autentico il personaggio di Frank e i suoi luoghi. Il fiume che scorre, l’immagine degli argini che non cedono malgrado le piene, malgrado tutto ciò che il fiume raccoglie nella sua corsa verso il mare attraversando centinaia di chilometri di terre lanciate senza freni nella modernità. «La notte mi consolai con quattro gin tonic e un classico del liscio, illudendomi di poter bastare a me stesso. Dopotutto le persone finiscono per assomigliare ai luoghi dove vivono, provavo a convincermi, e io dovevo al fiume il mio perpetuo scorrere.»

Confessioni audaci di un ballerino di liscio è prima di tutto una storia scritta divinamente bene, tanto che in alcuni momenti ti sembra di sentire la musica dell’orchestra, i profumi alcolici dell’acqua di colonia delle signore, mischiati alla polvere della pista da ballo e al sudore. All’odore stantio del fondo dei vermouth nei bicchieri.

Una avvertenza per chi vorrà addentrarsi in queste terre parallele e misteriose, tra realtà fotografica e letteratura di altissimo livello.

Il rischio è quello di rimanerci incastrati dentro. Per sempre.

 

MMP