Matilde Mezzalama è una maestra in pensione che decide, invece di godersi la sua tranquilla vecchiaia nel quartiere periferico di Barriera di Milano, a Torino, di rimettersi in gioco e accettare di accudire un anziano ingegnere che abita nel centro della città.
E’ questo l’elevator pitch 1 de “Quella metà di noi”, l’ultimo romanzo di Paola Cereda, titolo che stramerita di comparire tra i 12 finalisti dell’ambitissimo Premio Strega 2019.
Il tema del corpo involucro, della sua cura ai fini della sopravvivenza, è un argomento di grande attualità. Il rapporto tra Matilde e l’ingegnere, è il prisma narrativo principale di questo romanzo, e se scelta è stata, l’autrice non poteva fare scelta più efficace. Nel rapporto stesso tra “badante” e “badato”, in quel compromesso emotivo si può già individuare l’elemento della metà per antonomasia, replicata in diverse accezioni: Il prima e il dopo l’infermità, l’accudire la casa del malato per poter accudire una casa dall’altra parte del mondo, in una sorta di remotizzazione e sdoppiamento del prendersi cura.
IL GIOCO DELLE META’. In questo romanzo ogni personaggio si confronta con una sua metà ad assetto variabile, più o meno inconsapevole. E’ questo l’aspetto che sorprende e appassiona il lettore, perché il grande merito di Paola Cereda è quello di avere creato personaggi universali, nei quali chiunque può riconoscere chiunque. Altro pregio raro di questo romanzo è l’essere andato ben al di là dell’esperienza del visconte dimezzato o dell’uomo duplicato, o di tutte le altre esperienze narrative precedenti che hanno esplorato la suggestione del doppio.
Ma allora, cosa spinge realmente Matilde ad imbattersi nelle fatiche di un nuovo mestiere che non le appartiene?
E’ quindi la verità, la palla di cannone che spezza in due quasi tutti i personaggi di questo romanzo? O è un segreto ben custodito? Un segreto come quelli che abbiamo tutti, e che determinano altre vite rispetto a quelle che abbiamo. Le parole mai dette sono come figli mai nati.
Un ruolo di primo piano nella ricerca di quella metà spetta ai LUOGHI. Il passaggio dalle ambientazioni in provincia (nei lavori precedenti di Paola) a quella in città tiene molto bene grazie ad un evidente vissuto, alla capacità di adattamento del linguaggio e dei ritmi narrativi. Rispetto ai lavori precedenti Paola Cereda, con grande sensibilità, smonta grandangolo e filtro colorato dal suo obbiettivo. Anche i tempi di esposizione cambiano. Quello che leggiamo è la conseguenza di uno sguardo più lento, dentro allo scorrere quotidiano, con una messa a fuoco più nitida, senza rinunciare all’ironia dal sapore spesso malinconico, nella descrizione di una Barriera di Milano per quella che è oggi, pulsante e multietnica. Nella toponomastica e nella trasformazione degli esercizi commerciali.
Alcune pagine particolarmente suggestive sono quelle ambientate al Banco dei Pegni, ricalcando, ma andando già oltre, in una sola manciata di pagine, il lavoro matrice di Elena Loewenthal nella sua “Giornata al Monte dei Pegni”. Quando entri al Monte dei Pegni devi essere disposto a lasciare qualcosa di te, e contemplare un riscatto. Separarsi da un oggetto personale che viene pesato, valutato, trasformato in valuta. Un luogo popolato da personaggi fuori dalle righe che l’autrice rende memorabili, tra leggenda e ironia.
Ma il ruolo di luogo protagonista spetta senz’altro al tram numero 4, linea tramviaria che collega la periferia nord di Torino a quella sud, passando per il centro. Un microcosmo viaggiante che può contenere vite a capienza praticamente infinita.
Abbiamo tante vite quante sono le persone che incrociamo, ogni volta la nostra vita potrebbe cambiare. La scelta è nostra.
Stare sul tram numero 4 è in fondo come viaggiare per il mondo, attraversando una sola città, venire a contatto con l’umanità più assortita, contenitore di storie che precedono sempre l’immaginazione. Non quella di Paola.
Quella metà di noi – Paola Cereda – Giulio Perrone Editore
26/3/2019 Libreria Il Gatto che pesca – San Mauro Torinese (TO)
MM